

Queste parole scritte da Francesco Griselin nel 1765 meglio di altre possono forse introdurre alla conoscenza di un personaggio che, non scledense, operó per il bene della nostra città dando nuovo vigore all’attività laniera in essa decaduta e precorrendo, per ampiezza e modernità di vedute, metodi operativi e risultati raggiunti l’opera di A.Rossi.
Di antica e nobile famiglia veneziana, Nicolò Tron (1685-1772), giovanissimo, venne inviato nel 1714 presso la corte britannica come ambasciatore della Serenissima. Del soggiorno in Inghilterra il Tron fece tesoro, raccogliendo ogni dato utile per introdurre in patria, al suo ritorno, i metodi più avanzati per la filatura e la tessitura della lana. Rientrato a Venezia e trovate piuttosto sorde alle sue proposte le autorità della Dominante, spostò la sua attenzione su Schio ove sul finire del secondo decennio del XVIII sec. diede vita a un lanificio che ben presto divenne esempio per gli altri della zona. Nella nostra terra, che dal 1701 aveva ottenuto il permesso di fabbricare panni alti (cioè fini), il Tron portò tecnici ed istruttori stranieri, nuovi filatoi ed il telaio con la navetta inglese “col mezzo della quale si poteva far a meno di un uomo nel lavoro al telaio, oltre di accelerare e perfezionare la tessitura dei pannilani”.
Dotato di notevoli mezzi finanziari ma soprattutto di grande apertura mentale, Nicolò Tron non perseguì egoisticamente il fine di arricchire, magari a danno dei locali operatori del settore laniero. Egli aprì anzi i suoi opifici ai fabbricanti scledensi di panni-lana perchè ne potessero trarre gli opportuni vantaggi. Con iniziative tanto “rivoluzionarie” quanto benefiche egli pose nella nostra città le basi per quello sviluppo dell’attività laniera che interessò Schio nella seconda metà del ‘700 e nell’età del Rossi.
Edoardo Ghiotto
Giacomo Zanella è un poeta vicentino che si distinse nel panorama letterario di fine Ottocento.
Nato a Chiampo (VI) il 9 settembre del 1820 e morto a Cavazzale (VI) il 17 maggio del 1888, fu sacerdote, patriota e illustre professore di lettere e filosofia. Venne allontanato dall’insegnamento a causa della sua ostilità nei confronti del dominio asburgico nel Lombardo–Veneto e solamente nel 1866, dopo la III Guerra d’Indipendenza, poté ritornare ad insegnare all’Università di Padova.
Visse in un’epoca di profonde trasformazioni politiche, letterarie e soprattutto scientifiche, tanto che ebbe a scrivere in un suo verso “son fecondi come secoli gli anni” e accolse con favore le invenzioni scientifiche e tecniche, inserendole in una visione provvidenziale della storia.
Fine letterato, studiò e tradusse, rendendo in bel verso italiano, opere di autori greci e latini, inglesi e francesi, tedeschi e spagnoli, cogliendone “la luce e la forza che vengono dall’intimo senso della vita universa”.
La sua produzione poetica è originale rispetto al panorama letterario del suo tempo, dominato dal Verismo, per la capacità di presentare argomenti di carattere scientifico e per la tensione a conciliare religiosità cattolica, cultura positivista e democraticismo sociale, utilizzando un linguaggio di classica limpidezza e, al tempo stesso, di facile lettura.
Le sue scelte poetiche lo collocarono, nell’ambiente culturale del suo tempo, in una posizione anomala. Egli, infatti, fu mal visto sia dal mondo culturale laico, per il suo rifiuto delle tesi materialistiche, sia da una parte delle autorità ecclesiastiche, per il patriottismo, l’attenzione alla scienza e l’interesse per la “questione sociale”.
Pubblicò una raccolta di poesie con il titolo di Versi (1868), cui si aggiunse la raccolta di sonetti intitolata Astichello; affermò le sue doti di critico, rivelando una profonda cultura nella Storia della letteratura italiana dalla metà del Settecento ai giorni nostri (1880), nei Paralleli letterari e nell’opera Della letteratura italiana nell’ultimo secolo.